giovedì 11 gennaio 2018

Cari istriani, sostenete l'arbitrato!


LETTERA AGLI AMICI ISTRIANI

Cari amici Istriani

A Bruxelles dissi, e lo feci pubblicamente, unico fra gli europarlamentari »sloveni«, al mio amico e leader di partito Borut Pahor, allora gia' anche primo ministro, che non era giusto bloccare la Croazia sulla porta d'ingresso nell'Unione europea perche' non ci concedeva il confine che piaceva a noi.
Erano 17 anni che i nostri due paesi non riuscivano a mettersi d'accordo sul come e dove picchettare quella cinquantina di chilometri di frontiera che dalla proclamazione delle rispettive indipendenze erano rimasti senza una tracciatura chiara e condivisa. Il nodo piu' grosso, nel Golfo di Pirano che la Slovenia voleva mantenere proprio per intero, cosi' come l'aveva gestito sotto la Jugoslavia, con tanto di accesso diretto all'Adriatico internazionale, la Croazia invece ne voleva la meta' perché' vi sfociava col Dragogna anche il confine terrestre. 17 anni di negoziati infruttuosi che solo nel 2001 si erano avvicinati ad una soluzione piu' o meno ottimale – l'accordo Drnovšek-Račan, che per una manciata di consensi aveva convinto il parlamento sloveno, non invece, purtroppo, quello croato. Rammento che a suggerirla (golfo diviso a ¾ con un corridoio di contatto diretto del mare sloveno con quello internazionale) eravamo stati 6 anni prima da un incontro ad Isola, un sestetto di amici in formale rappresentanza dei due pezzi d'Istria – per quella »croata«, Ivan Jakovčič, Damir Kajin e Axel Luttemberger, per il versante »sloveno«, Mario Gasparini, Franko Fičur e il sottoscritto.
Insomma, fallito il compromesso Drnovšek-Račan, poi non ci sono stati altri momenti di riavvicinamento.
Anzi, come ben sappiamo, si son create solo lacerazioni, situazioni di scontro, tensione, incertezza. Tanti gli incidenti e le provocazioni nel golfo e anche lungo il confine terrestre e non un episodio solo ove per un pelo si e' evitato il peggio.
Ma nel 2004 alla Slovenia si spalancarono le porte dell'Unione europea e della NATO. »Adesso si' che la Croazia si ammorbidirà e acconsentira' alle nostre rivendicazioni« - ci disse al Comitato esteri del parlamento sloveno, il nostro capo diplomazia Dimitrij Rupel. Gli manifestai i mie dubbi e proposi anzi di vedere con la controparte se non fosse meglio lasciare che a deliberare sul confine fosse un terzo, un'istanza di giudizio internazionale, o un tribunale ordinario, o meglio ancora un arbitrato apposito, ad hoc. Dalla risposta del ministro e dalle reazioni degli altri, mi sentii come se avessi sparato una cazzata. Eppure ne ero convinto, che da sole Slovenia e Croazia non avrebbero fatto altro che complicarsi la vita, o peggio, complicare la vita delle proprie genti.
Il mio NO dunque a Pahor quando nell'autunno 2008 annuncio' a Bruxelles di fermare le trattative di ammissione della Croazia nell'UE. Lo avevo appena sostituito al Parlamento europeo dopo che era stato chiamato a casa a presiedere il governo.
Era ingiusto, un gesto di ricatto politico che non avrebbe fatto che peggiorare i rapporti e le prospettive di soluzione del nodo frontaliero, incattivendo gli animi anche nel resto d'Europa. E credevo ancora nelle buone, oneste e sincere intenzioni croate di addivenire ad un accordo.
Fu la Commissione europea, il commissario per l'allargamento Olli Rehn, a proporre l'arbitrato che finalmente, dopo una serie di approcci e formule diverse, tentennamenti e rifiuti, nonche' ore e ore di pazienti trattative, fece presa e guadagno' la firma dei due premier, di Pahor e della signora Jadranka Kosor. Era il 4 novembre del 2009. Controfirmatario e garante il presidente di turno del Consiglio europeo, il premier svedese Fredrik Reinfeldt. Con la firma si sollevava ogni riserva slovena all'ingresso della Croazia nell' UE.
Ne fui entusiasta!
Ma oggi? Sapendo come si sarebbero messe le cose, vedendo la Croazia riproporsi contraria, cosi' come nei confronti del tentativo Drnovšek-Račan, anche all'arbitrato, quindi ad un atto formale, giuridico, sfornato dopo 7 anni di processo e milioni di euro di spesa, da un tribunale arbitrale di 5 eminenti giudici stranieri, col pieno avvallo della Commissione europea, ridirei a Pahor NO?
Non me ne vogliate, ma nei confronti di chi governa a Zagabria, sia esso Plenkovič oppure il »compagno« Milanovič, non nutro piu' un briciolo di fiducia e speranza e se oggi risentiamo il nostro ministro degli esteri Karl Erjavec minacciare la Croazia di tenerla fuori Schengen, Euro e OECD fintanto che non accettera' e applicherà' la sentenza arbitrale e quindi mostrera' rispetto per un atto di diritto, mi e' difficile contestarlo. L'unico appunto che gli posso fare e' che queste cose una diplomazia seria, competente e responsabile non le dice ad alta voce, ne tanto meno in pubblico.
Che non ci sia alternativa alla soluzione decisa dagli arbitri lo ammette, fra i vostri politici di spicco, solo l'amico Jakovčič, che anzi vede rispecchiarsi in essa pressoché' tutti gli interessi croati, quindi una sentenza da accettare e applicare da subito.
Non lasciatelo solo, cari amici Istriani! Una voce corale e compatta dall'Istria, dal territorio ove più' si consuma e soffre il dramma frontaliero, potrebbe indurre Zagabria a ripensarci. Quasi da subito pesca senza confini per umaghesi e piranesi da Lazzaretto a Orsera e fra un anno in Schengen anche voi. Le antipatie fra i politici si rimargineranno strada facendo o col loro ricambio.
Con speranza....


Aurelio Juri, ex sindaco di Capodistria nonche parlamentare sloveno ed europeo



Capodistria, 11.1.2018

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