giovedì 30 luglio 2015

La Croazia recede dall'arbitrato con la Slovenia



PARE CHE LA CROAZIA IL CONTENZIOSO FRONTALIERO CON LA SLOVENIA NON LO VOGLIA PROPRIO RISOLVERE.


E’ la seconda volta che silura un accordo mirato a questo scopo. L’aveva fatto nel 2001 affondando l’intesa Drnovšek-Račan, frutto di 6 anni di negoziato e compromesso quasi matematico fra le rivendicazioni dell’una e dell’altra parte, lo rifà di nuovo con l’accordo di arbitrato.
Quasi imposto da Bruxelles nel 2009 dopo una fase concitata delle trattative di adesione della Croazia all’Unione europea che Lubiana aveva cercato di sfruttare per ammorbidire Zagabria sul confine, ma l’effetto era stato l’opposto - impennata di nazionalismo, crollo delle relazioni bilaterali al livello storico più basso e broncio in Europa – prevedeva la nomina di un tribunale arbitrale di 5 membri, di cui due nominati da ciascun contendente, e tre da sedi superiori, che in 5-6 anni avrebbero sentenziato sulla delimitazione territoriale in terra e mare fra i due paesi in via definitiva e senza diritto di ricorso. Il 31 luglio si è celebrato il sesto anniversario della firma, apposta al castello di Trakoščan in Croazia, dagli allora premier Jadranka Kosor e Borut Pahor.
Ma è stata una celebrazione funesta, dopo che il governo e il Sabor croato, compattato tutto il mondo politico e mediatico con neanche una voce fuori dal coro, ha deciso di recedere dall’intesa, ovvero di non riconoscere più l’arbitrato.
Pretesto, un colloquio telefonico fuori luogo fra l’arbitro sloveno, Jernej Sekolec, e l’agente governativa slovena incaricata di seguire il processo, Simona Drenik, intercettato non si sa da chi ma passato ai media croati, in cui i due si scambiano informazioni e impressioni sul procedere delle cose che pare preludere ad un soddisfacimento delle aspettative slovene in attinenza al mare. Nulla di sconvolgente, ma è una comunicazione che nel rispetto della riservatezza del procedimento e del ruolo di superpartes del giudice, non doveva avvenire. Di lì a due giorni, Sekolec e la Drenik rassegnano le dimissioni.
Ciò alla Croazia non basta. Grida allo scandalo, denuncia una violazione grave dell’accordo e dichiara l’arbitrato contaminato e non più credibile. Che il suo giudice Budislav Vukas, abbia l’ufficio addirittura presso l’ambasciata croata all’Aia, non lo ritiene neanche una sconvenienza. Lui nessuno l’ha colto con le mani nel sacco (ben protetto entro le mura della sede diplomatica!). Ma va ammesso che, fin dalla stesura dell’articolo che prevedeva la nomina di un giudice per contendente, si sapeva che, per quanto formalmente neutrale e imparziale, costui avrebbe tifato per la propria parte e che la sentenza sarebbe stata presa, in un modo o nell’altro, con 4 voti contro 1.
Il governo sloveno corre ai ripari e in neanche una settimana sostituisce Sekolec con un nome di assoluta levatura mondiale – Ronny Abraham, niente popò di meno che presidente della Corte di giustizia dell’Aia, ove la Croazia vorrebbe portare il contenzioso con la Slovenia. Una nomina che s’impone a garanzia della correttezza del processo.
E anche dalla Commissione europea, dopo il disappunto per la decisione presa dal governo e dal Sabor croato e l’invito a ripensarci, il pieno appoggio all’arbitrato che  - lo si incoraggia - deve portare a compimento la sua missione, con o senza la Croazia. Non ci sono altre reali scelte!
La risposta di Zagabria è dura. Una retorica che in un paese membro dell’UE si riteneva oramai sorpassata.
“A uno Sloveno posso anche dare il mio sangue, la mia terra mai! – dichiara Damir Kajin, della Dieta democratica istriana, che era stato con me fra gli ispiratori nel ‘95 a Isola del compromesso Drnovšek-Račan. “Che l’Unione europea si occupi di altre cose, della vertenza su Gibilterra se vuole, ma noi ci lasci stare!”- gli fa eco l’accademico Davorin Rudolf.
“Bruxelles non è parte in causa in questo arbitrato”- incalzano la ministro degli esteri Vesna Pušič e altri rappresentanti del governo, sottacendo che sull’accordo c’e’ anche la firma dello svedese Fredrik Reinfeldt, all’epoca presidente di turno del Consiglio europeo. Addirittura la conferenza episcopale croata e il deputato al seggio specifico italiano Furio Radin convergono sul NO all’arbitrato, un NO la cui vera natura viene svelata dal giudice croato Vukas, da ieri dimissionario in rispetto a quanto deliberato dal Sabor: “Il tribunale intendeva togliere alla Croazia parte del mare territoriale, alla qual cosa mi sono fermamente opposto”.
Risulta chiaro che Zagabria pianificava già da tempo di recedere dall’intesa, di sicuro dopo aver sentito Vukas e non ieri. Se imputi a un tribunale di voler toglierti qualcosa che anche la controparte rivendica, sei partito male. Vuol dire che nell’affidargli il compito non eri in buona fede. Il tribunale arbitrale dell’Aia è stato messo lì non per togliere o dare pezzi di territorio e di confine all’uno o all’altro contendente, ma per decidere il tracciato più giusto, più onesto, più ottimale.
Insomma, la Croazia dichiara l’arbitrato morto, checché ne dicano e pensino gli altri – il pretesto gliel’hanno dato i due allocchi sloveni -  e il premier Milanovič scrive a quello sloveno Cerar. “Incontriamoci e vediamo di trovare una soluzione.”  Ma Cerar non ci casca. L’aveva cercato invano già alle prime avvisaglie del malcontento croato, prima che a Zagabria si prendessero decisioni unilaterali e irrevocabili, ora, forte per altro della posizione della Commissione europea e dello stesso Tribunale arbitrale che annuncia di voler andare fino in fondo, gli risponde con estrema chiarezza: “Il mio governo si rammarica delle decisioni da voi prese, respinge le argomentazioni con le quali le avete motivate e riconferma il pieno sostegno all’accordo di arbitrato quale unico strumento giuridico per la soluzione del contenzioso frontaliero fra i nostri due paesi.” Bravo, Miro!
E chiudo con una nota un tantino più personale. Sono fra i pochi in Slovenia che in passato hanno avuto parole di comprensione per gli atteggiamenti croati, che hanno creduto nella buona fede di chi li sosteneva. Mi son anche macchiato di consapevole suicidio politico quando dal Parlamento europeo, unico fra gli europarlamentari sloveni, ho gridato NO al blocco imposto da Pahor al negoziato di adesione della Croazia all’UE. Dopo questo secondo tentativo di inficiare la soluzione di un problema che avvelena oramai da 24 anni i nostri rapporti, alla buona fede di chi lo pratica e lo sostiene non ci credo più. Evviva l’arbitrato!



E IL RACCONTO PIU' COMPLETO DI QUESTA BRUTTA STORIA


C'erano voluti 18 anni perché Slovenia e Croazia capissero che, incapaci di risolverla da soli, la delimitazione frontaliera fra i due paesi dovevano affidarla ad un arbitrato internazionale.
Al momento dell'indipendenza, il 25 giugno 1991, entrambi avevano approvato, sì, una legge costituzionale che sanciva come confini di stato quelli amministrativi che esistevano nella mappatura della federazione jugoslava, ma scoprivano più tardi che per una cinquantina dei 670 chilometri quant'e' lunga la frontiera, il tracciato non era chiaro, o meglio, condiviso. I territori a ridosso erano rivendicati così dall'una come dall'altra parte. 
Nel vivere comune in Jugoslavia nessuno ci aveva pensato a sincronizzare evidenze catastali e amministrative e c'erano così paesini o frazioni che curavano i propri interessi su un versante, ma erano iscritti al libro fondiario sull'altro. E per riparare alla cosa, le due diplomazie avrebbero negoziato per anni, scontrandosi però sempre sui criteri da seguire: tracciare il confine secondo il catasto oppure secondo la prassi amministrativa? Ognuna, ovviamente, con un occhio di ferma attenzione sui guadagni di territorio, meno su cosa ne pensassero i residenti. 
Comunque il problema più grosso si riscontrava in mare. La frontiera a terra, anche in questo caso, coperta nel suo ultimo tratto da doppia giurisdizione, ma questione di qualche centinaio di metri più a nord o più a sud, sfociava in ogni caso nel Golfo di Pirano che in Jugoslavia era amministrato per intero, fino all'altezza di Punta Salvore, in territorio croato, dal comune di Pirano, in Slovenia, vedi per le concessioni di pesca, vedi per la tutela dell’ambiente, vedi per la navigazione da diporto, vedi per i controlli di polizia. In più le acque territoriali "jugoslave" erano comuni e comune l'approccio al mare internazionale.
Così dal 1947 in poi. Una situazione che la Slovenia voleva conservare pur consapevole che i nuovi assetti statuali pretendevano un chiarimento delle sovranità territoriali, ovvero delle frontiere anche in mare. Sfociando il confine terrestre a metà del golfo, la Croazia ha voluto da subito la delimitazione nella medesima chiave anche del bacino il che avrebbe tolto alla Slovenia metà della giurisdizione esercitata per 44 anni e precluso il suo accesso diretto alle acque internazionali.
E un linguaggio comune non si è mai trovato, nel mentre incominciavano gli screzi e gli incidenti fra pescatori croati e sloveni, fra le due polizie marittime, fra polizia frontaliera croata e residenti sloveni sul versante croato conteso e c'e' mancato poco, più volte, che ci scappasse il morto. Della retorica nazional-patriottica fra politici, media e gente comune neanche parlarne. La qualità e la dinamica delle relazioni bilaterali anche sul fronte economico, ovviamente in flessione.
Nel 2001, quasi in risposta ad un appello, con tanto di suggerimenti, lanciato nel 1995 da Isola dai sindaci dell'Istria slovena e croata, me compreso, a favore di una soluzione di compromesso, i premier sloveno Drnovšek e croato Račan firmavano un accordo che chiudeva il contenzioso sia a terra che in mare.
Il Golfo di Pirano veniva diviso a 3/4 per la Slovenia e 1/4 per la Croazia, con un corridoio di acque internazionali fino a quelle territoriali slovene.
Sembrava fatta! Sì, sembrava, ma il nazionalismo croato capitanato dall’HDZ (Hrvatska demokratska zajednica - Comunità democratica croata), il partito del fu presidente Tudjman, il più forte a destra, ci mise lo zampino impedendo che l'intesa passasse al Sabor, il parlamento croato.
Grossa delusione in Slovenia e pure all’estero sempre attento a ogni pulsazione politica nei Balcani un tantino più forte e quindi pericolosa. Si erano da poco spente le guerre post Jugoslavia.
Amen. Accordo di compromesso fallito e si riprendeva a negoziare, ma era tanto per fare, visto che ne l'una ne l'altra parte potevano cedere ulteriormente.
La Slovenia comunque, già candidata all'Unione europea, contava che il suo ingresso a pieno titolo nella comunità e parimenti nell’Alleanza atlantica le avrebbe dato più forza negoziale, ovvero costretto Zagabria ad un ammorbidimento.
Fra i pochi a non crederci, ma a temere invece nuovi e più pericolosi rigurgiti nazionalisti da parte croata e quindi un ulteriore inasprimento nei rapporti, come difatti avvenne, mi azzardai qualche anno dopo, ( La Slovenia era da poco entrata nell’UE e nella NATO e io sedevo alla Camera di stato di Lubiana) a proporre al governo di voltar pagina e avviare con quello croato una trattativa nuova, sul come, dove e con quali modalità coinvolgere nella vertenza una terza parte che poi decidesse in merito. Proponevo due vie: O la Corte di giustizia dell'Aia o un meno tecnico e più flessibile arbitrato internazionale capace di cucire una soluzione con un occhio anche alle particolari circostanze storiche, sociali e culturali dei territori da delimitare.
Le prime risposte furono di diretto affronto: “Una proposta inaudita, contraria agli interessi nazionali, al limite del tradimento! Nella nuova posizione porremo la Croazia in ginocchio e avremo il confine che vogliamo!” Fui quasi scomunicato, anche dal mio stesso presidente di partito e successivamente premier nonché attuale presidente della repubblica, Borut Pahor. “Lascia perdere, Aurelio, vedrai che Zagabria mollerà. Questione di settimane o massimo qualche mese!”….
Correva l’anno 2004. Questione di qualche mese? Di anni e di rapporti sempre più avvelenati. I nostri nazionalisti, con alla testa anche politici di spicco, a marciare con bandiere slovene e gonfaloni un tantino nazi, fino al valico di frontiera di Sicciole e scontrarsi con entrambi le polizie, slovena e croata, i pescatori di Umago e Salvore, che mai prima pescavano nel golfo, armati per altro di imbarcazioni più massicce, a incrociare i nostri e strapparne le reti, e all’arrivo delle telecamere slovene, a mostrare agli obiettivi gli attributi più intimi e lanciare ingiurie, le polizie marittime a cacciar via, quella slovena i pescatori croati, quella croata i colleghi sloveni e a guardarsi sempre più in cagnesco.
Qualche rissa con tanto di accuse e controaccuse sulle responsabilità di come andavano le cose anche nei luoghi di villeggiatura in Istria, Quarnero e Dalmazia, fra turisti sloveni e abitanti locali.
Il tempo passa, le ferite al buon vicinato e alla collaborazione si tengono in qualche modo, fra un cerotto e l’altro, sotto osservazione, e si arriva così alla fase conclusiva delle trattative per l’ingresso della Croazia nell’Unione Europea, processo che mi trovo a seguire a Bruxelles come europarlamentare fra i Socialdemocratici. Ero subentrato al mio presidente di partito, Pahor, dopo che le elezioni in casa gli avevano affidato la guida del governo. Nell’autunno 2008, visto che la Croazia sul confine non da segni di cedimento, egli da Lubiana comunica il suo NO al proseguimento del negoziato. Una posizione in forte odore di ricatto che personalmente non posso condividere, tanto meno avvertendone le conseguenze, e che, unico dei sette europarlamentari sloveni, osteggio pubblicamente. Con me tutto il gruppo socialista e quasi tutti anche gli altri partiti, cui non è chiaro perché la Slovenia insista a temere una mediazione o un’arbitrato. Contro, i colleghi sloveni, ovviamente il mio governo, il mio parlamento nazionale, l’opinione pubblica di casa. E mi ritrovo solo anche all’interno del mio partito a Lubiana per cui, dopo trentasei anni di militanza, restituisco la tessera e me ne vado.
Un suicidio politico in piena consapevolezza. Ma avevo visto bene. Zagabria s’infuria a tal punto da chiudere ogni comunicazione fra il premier croato Ivo Sanader e il nostro Pahor, la retorica nazionalista soprattutto in Croazia raggiunge l’apice: “Neanche un centimetro di terra o mare croato a chi ce li vuole prendere! Ci batteremo fino in fondo! Costi quello che costi!”
Si muovono le preoccupate diplomazie europee e americana e costringono Sanader, il falco più grosso, al ritiro. Gli subentra Jadranka Kosor, sua vice, che con un agire meno battagliero e più gentile riaggancia il dialogo con Pahor ed entrambi vengono messi da Bruxelles e Washington di fronte all’unica opzione ancora percorribile: l’arbitrato. Non gli possono dire di no. Questa volta neanche la Slovenia.
Il commissario europeo per l’allargamento Olli Rehn formula una prima bozza di accordo in questo senso che la Croazia respinge perché, a suo dire, troppo vicina alla causa slovena, ne fa un’altra che a sua volta non trova i favori della Slovenia e poi ci rinuncia, ma la ricerca di un consenso su questa strada è oramai in corso e dopo mesi in negoziati intensi, finalmente, la Kosor e Pahor ci appongono la firma. Il 31 luglio scorso, si son celebrati i 6 anni di quel momento allora considerato storico.
Sarà nominato un tribunale arbitrare di cinque membri, di cui tre stranieri e due nostrani, sloveno e croato. Ogni paese preparerà un proprio memorandum con le tesi e le ragioni da sostenere, vi saranno i sopraluoghi, i dibattimenti in aula e l’audizione delle contro-argomentazioni, ognuno avrà le sue squadre di difesa – avvocati cercati in giro per il mondo fra i più qualificati (e ben pagati!) – e entro il 2015 si cercherà di addivenire al responso, a quello che sarà il tracciato definitivo della frontiera in terra e in mare e che entrambi i contendenti saranno tenuti a rispettare. Niente diritto di appello.
Da noi ancora un referendum che la destra, contraria all’accordo, pretende e ottiene, ma perde. Il 55% contro il 45% dei votanti si dichiara favorevole all’intesa. Qui da noi, nel Capodistriano, dove la tensione sul mare è più sentita, i SI vincono col 70%!
All’indomani del voto un rapido schiarimento sui rapporti fra i due paesi in tutti i comparti. Si riparla di buon vicinato, amicizia e partenariato. Finalmente la via alla soluzione del contenzioso più antipatico e pesante è spalancata.
Niente più incidenti in mare o lungo la frontiera a terra, di nuovo tutti grandi amici.
In questo recuperato clima di fiducia, Slovenia e Croazia partoriscono assieme il Processo di Brdo, dal luogo vicino a Kranj, in Slovenia, sede del primo vertice, processo che si prefigge di rilanciare, sotto gli auspici dell’UE e dell’ONU, le relazioni fra i paesi dell’ex Jugoslavia, quale presupposto di una nuova politica di pace, sicurezza, convivenza, cooperazione e stabilità nell’area. Per altro la formula dell’arbitrato viene indicata da esempio per la soluzione delle altre vertenze frontaliere che la Croazia ha ancora aperte coi vicini: con la Bosnia ed Erzegovina e il Montenegro in Adriatico, nonché con la Serbia sul Danubio in Vojvodina.
Ma il diavolo, come si conviene sempre anche nelle favole più belle, torna a metterci la coda. Anzi, ce la mettono questa volta due dei protagonisti dell’arbitrato di parte slovena: il giudice Jernej Sekolec e l’agente governativa incaricata di seguire il processo, Simona Drenik, che, da allocchi, si fanno intercettare, pare dai servizi segreti croati, durante una conversazione telefonica privata sui meriti dell’arbitrato. Il giudice le comunica che i giochi son praticamente fatti, che in mare la Slovenia avrà quasi tutto di quanto richiesto, e cioè gran parte del golfo e l’accesso diretto alle acque internazionali, che e’ inutile pretendere di più, l’interlocutrice gli spiega che sarebbe il caso di insistere ancora su alcuni tratti a terra, soprattutto lungo il fiume Mura. Comunicazione che nel rispetto della segretezza del processo e del ruolo di superpartes del giudice, non doveva avvenire. Di lì a due giorni, Sekolec e la Drenik rassegnano le dimissioni e la settimana dopo, secondo le procedure previste per altro dall’accordo, il governo sloveno nomina un nuovo arbitro. E fa un’ottima scelta. Non nomina uno sloveno, ma un francese, Ronny Abraham, niente meno che presidente della Corte internazionale di giustizia dell’Aia.
Alla pubblicazione dell’intercettazione della telefonata fra Sokolec e la Drenik la Croazia grida allo scandalo e dichiara l’arbitrato contaminato e non più credibile. Che anche il loro giudice Budislav Vukas, abbia avuto modo di fare lobby per il suo paese e passargli informazioni confidenziali, avendo l’ufficio all’Aia nella sede dell’ambasciata croata, non lo commenta. Vero, lui non è stato colto con la marmellata sulle dita. Ma ammettiamolo, fin dalla stesura dell’articolo che prevedeva la nomina di un giudice per contendente, si sapeva che ognuno, per quanto formalmente neutrale e imparziale, avrebbe tifato per la propria parte e che la sentenza sarebbe stata presa, in un modo o nell’altro, con 4 voti contro 1.
Forse era meglio sancire da subito un tribunale arbitrale di 5 membri tutti stranieri. Ma così – dicevano - disponeva la prassi giuridica internazionale.
Comunque, Zagabria, dichiara l’arbitrato morto, chiama a raccolta tutte le forze politiche e con voto unanime il Sabor incarica il governo di recedere dall’accordo, richiamandosi all’articolo 60 della convenzione di Vienna. Neanche la nomina di Ronny Abraham e i moniti dall’Aia e da Bruxelles che all’arbitrato non vi sono reali alternative e che quindi sarà portato a compimento, con la Croazia o senza, fanno ripensare i politici croati. E giù di nuovo slogan bellicosi, patriottici e nazionalisti contro la Slovenia, contro l’UE, contro tutti. Una retorica che in un paese membro dell’Unione europea non si credeva più possibile. ”A uno Sloveno posso anche dare il mio sangue, la mia terra mai! – dichiara Damir Kajin, della Dieta democratica istriana, che era stato con me fra i firmatari nel 95 del citato appello di Isola. “Che l’UE si occupi di altre cose, della vertenza su Gibilterra se vuole, ma noi ci lasci stare!”- gli fa eco l’accademico Davorin Rudolf.
“Bruxelles non è parte in causa!”- incalzano la ministro degli esteri Vesna Pušič e altri rappresentanti del governo, dimenticando che sull’accordo c’e’ per altro la firma dello svedese Fredrik Reinfeldt, all’epoca presidente di turno del Consiglio europeo. Addirittura la conferenza episcopale croata e il deputato al seggio specifico italiano Furio Radin tuonano contro l’arbitrato.
Solidale, se ne tira fuori pure il giudice croato, Vukas, svelando però, nell’annunciare la mossa, qualcosa che fa subito dubitare sul fatto che a generare la drastica decisione croata sia stata la telefonata impropria fra i due allocchi sloveni. “Volevano (il tribunale arbitrale) toglierci parte delle acque territoriali ed io mi ci sono fermamente opposto!” Un’informazione che conferma in qualche modo quanto dettosi dai due rappresentanti sloveni, ma che è poco credibile sia emersa al dì delle dimissioni. Appare ovvio che il governo di Zagabria sapeva già da tempo da quale parte pendevano i favori dei giudici, e visto che una divisione del golfo che non sia esattamente a metà nonché un contatto diretto della Slovenia con l’Adriatico internazionale non l’ha mai accettato, si e’ preparato al disconoscimento dell’arbitrato.
La stolta telefonata fra i due sloveni null'altro che un buon pretesto.
Messi insomma tutti davanti al fatto compiuto e dopo essersi sottratto per l’intera settimana, quanto è durata l’operazione “Stop all’accordo”, alle chiamate del premier sloveno Cerar che cercava in ogni modo di farlo desistere da quanto annunciato, è il presidente del governo croato Milanovič ora a voler incontrare il collega e proporgli nuovi colloqui sulla questione confine.
Ma Cerar non ci casca. Gli risponde garbatamente che all’incontro ci sta, ma solo dopo che il tribunale arbitrale dell’Aia avrà annunciato le proprie intenzioni.
Al momento il processo è fermo perché si aspetta il successore di Vukas. Questione di due settimane al massimo. Se non saranno i croati a nominarlo ed è palese che non lo faranno, lo farà, come previsto dall’accordo, il presidente del tribunale, poi i lavori dovrebbero continuare. Poniamolo al condizionale perché la bagarre che la Croazia ha creato potrebbe far vacillare ancora qualche animo.
Nell’attesa, rispondendo a Milanovič, il presidente del consiglio sloveno riconferma nell’accordo di arbitrato l’unico strumento giuridico valido per risolvere la vertenza! E il premier croato s’incazza: “Quel che è troppo è troppo!”
E sì, le elezioni di autunno in Croazia si avvicinano e chi non dimostra sufficiente patriottismo e determinazione rischia di restarne fuori, per cui largo all’isterismo collettivo.
Neanche un paio di giorni prima della decisione del Sabor Milanovič dichiarava di non prevedere ricadute sui rapporti bilaterali fra i due paesi – la corrispondenza col collega sloveno lo smentisce, e come! - nei luoghi di vacanza in Istria e Dalmazia gli Sloveni sono contenti, spensierati, dicono trattati bene e nessuno ci pensa, ne’ vuole farlo, finché  e’ in spiaggia e al sole, alle conseguenze di un nuovo inasprimento.

Ma i 20 anni passati non possono non aver fatto scuola e di fiducia in Slovenia nei confronti della Croazia, dopo il suo secondo NO ad un accordo che avrebbe dovuto chiudere consenzientemente il groppo frontaliero, non ve n’e’ neanche per un brindisi al buon senso.  Aspettiamo l’autunno e quanto decideranno all’Aia.

sabato 25 luglio 2015

Rešimo arbitražo, naše odnose in Istro!



MOLIM VAS, ISTARSKI PRIJATELJI, NE DOZVOLITE, DA ARBITRAŽA O GRANICI PROPADNE!


Biču kratak: Bio sam, kao gradonačelnik Kopra, zajedno sa kolegama iz Izole i Pirana, Gasparinijem i Fičurjem, te prijateljima iz Istarske županije, Jakovčičem, Kajinom i Luttenbergerom,  premapodpisnik Izolske izjave iz 1995 godine, koja je pozivala vlade Slovenije i Hrvatske ka rješenju pitanja granice na moru i u Istri tako, da bi dogovorili matematički kompromis meću zahtjevom Slovenije da zadrži cijeli Piranski zaljev, i hrvatskim, da se on podijeli točno na polovinu. Posle šest godina pregovaranja su se baš u tom pravcu našli i predsjedniki dviju vlada, Drnovšek i Račan, a žao, vaš Sabor se time nije slagao i kompromis je propao.
Što se počelo kasnije dešavati v zaljevu i uz granicu, posebno tu kod nas v Istri, znamo svi.
Kad dogovor Drnovšek-Račan nije uspeo, mi je bilo odmah jasno, da sami – Slovenci i Hrvati – nećemo moči naći rešenja, odnosno da smo trebali pomoć trećeg.
2004 godine sam na Odboru za vanjsku politiku našeg parlamenta formalno predlagao početak razgovora meću naših diplomacija o modalitetima medjunarodne arbitraže i naišao tada na hladan tuš većine kolega zastupnika. Čak proglašen sam bio sa strane desnice za heretika. Moj prijedlog je bio „neodgovoran,  nedržavotvoran,  naivan i suprotan slovenskim nacionalnim interesima, jer smo imali, kao članica EU, sve uvjete, da bi Hrvatsku kao tek kandidatku za ulazak u tu zajednicu, stavili na koljena“. I to se i pokušalo krajem 2008 godine sa blokadom pregovora za ulazak Hrvatske u EU. Tada sam kao jedini slovenski europarlamentarac ovome potezu rekao glasan NE i time napravio svoje političku samoubojstvo.  Izašao sam iz politike, istupio posle 36 godina članstva iz svoje stranke – Socialdemokratske, jer je bio baš njezin predsjednik i predsjednik vlade, Borut Pahor, akter blokade, i se umirovio.
Trebalo je još skoro godinu dana, da bi se na pritisak EU i drugih medjunarodnih činitelja, naše dvije vlade dogovorile konačno za arbitražu. Kod nas je bio potreban i referendum o tom sporazumu, koj je, kao što znate, dobio u Kopru i slovenski Istri više od 70% potporu, uprkos pokušajem popularnog gradonačelnika Popoviča, da bi bio zavraćen.
Dugi, dugi, težak put, da smo konačno vidjeli svjetlo na kraju tunela naših odnosa što se tiče granice.
Da zbog telefonskog razgovora jednog od sudaca, i to slovenskog, sa našom vladinom agenticu, koji se ne bi smio desiti, ok, a nije ništa drugog razotkrio nego to, da iako formalno neovisan, ovaj sudac je ipak navijao za slovenske stavove, kao ne sumnjam, da vaš, hrvatski, isto čini suprotno, ali naši špijuni ga nisu snimali, sve propadne? Da zbog ove budalaštine naših dviju predstavnika, koji su već odstupili od svojih funkcija, se vratimo 24 godine nazad? Da počnemo ponovno sa incidentima meću ribarima i policistima, sa akrobacijama i drugim nastupima gospodina Jorasa i njegovih sumišljenika? Da nacionalizam i medjusobno nepovjerenje te mržnja ponovno savladaju nad prijateljstvom i suživotom u tom prostoru?
Ne znam šta su ili budu konačno odlučili sudci arbitražnog tribunala, bitno da postižemo ovu odluku. Dali bude zadovoljila više hrvatska ili slovenska očekivanja meni je svejedno. Preživjeti ćemo i sa polovinu Piranskog zaljeva i bez koridora do medjunarodnih voda, kao i vi bez polovine zaljeva i sa ovim koridorom. Ali ćemo vrlo teško preživjeti u novom i ovaj put bezizlaznom konfliktom stanju.
Zato vas, istarski prijatelji, molim, da pokrenute sve što je potrebno, da vaš parlament i vaša vlada ne idu na put rušenja arbitražnog dogovora i diskreditacije arbitražnog tribunala. Spasimo arbitražu, spasimo naše odnose, spasimo Istru!


venerdì 24 luglio 2015

Arbitraža o meji. Blamaža Slovenije


BLAMAŽA SLOVENSKE DIPLOMACIJE!

Po objavi zvočnega posnetka dela pogovora med slovenskim sodnikom arbitražnega tribunala, dr. Sekolcem in slovensko agentko MZZ, zadolženo za spremljanje postopkov, Drenikovo, v zvezi z arbitražo o meji s Hrvaško, ni več dvoma, da je slovenska diplomacija pri tej zgodbi padla na izpitu. Z obsojanjem prisluškovanja s strani "prijateljske sosede" na naš račun, tega vtisa in tudi formalnega prestopa onstran dovoljenega ne bomo popravili. Da hrvaške tajne službe prisluškujejo našim funkcionarjem vzemimo v zakup, tako kot to, da tudi naše prisluškujejo njihovim. Naj mi do jamči, da te u ni tako.
Problem je pogovor Sekolca z Drenikovo, ki je razkril če že ne lobiranje, pa vsaj uhajanje informaciji, kar bi naj bilo po pravilih postopka nedovoljeno.
A glavno odgovornost za ta zaplet naj prevzame sam minister za zunanje zadeve Karl Erjavec, prvič ker je očitno slabo podučil Sekolca in Drenikovo o nepropustni tajnosti postopkov arbitraže vse do objave končne razsodbe, oziroma o nevarnosti prisluhov, drugo ker je spodbudil Hrvaško k zaščiti svojih interesov z nepremišljenimi, bahavimi izjavami že pred kakim mesecem, o tem, da nam je kazalo dobro.
Domnevam, da se bo ves postopek sedaj ustavil, vsaj do takrat ko se bodo na ta škandal odzvali tako predsednik arbitražnega sodišča kot Evropska komisija, oziroma do zamenjave slovenskega sodnika. In če se bo le to zgodilo bo še dobro.
Bojim se namreč da bo Hrvaška celo odstopila od arbitražnega sporazuma, oziroma storila vse da se to zgodi, zlasti po informacijah, da se napoveduje odločitev o meji na morju bolj po okusu Slovenije, in terjala nova pogajanja, kar bo mejni spor zavleklo za kar nekaj let.
Nemudoma bi moral Erjavec odstopiti, a leteli bosta le glavi Drenikove in Sekolca. Glavni krivec, ki se je celo okrepil z Vilfanom, pa bo ostal na svojem mestu in skušal vso nespodobno vedenje prevalit na Hrvaško, ker da je prisluškovala, kar se med "prijatelji" ne dela.
Mene, kot prvega formalnega predlagatelja reševanja mejnega spora z mednarodno arbitražo, že leta 2004 na Odboru za zunanjo politiko Državnega zbora, aktivnega zagovornika arbitražnega sporazuma Pahor-Kosor pred slovenskim referendumom 2010 in, ne nazadnje,  državljana Republike Slovenije, ki živi ob tej meji in čuti posledice njene nedorečenosti, je milo rečeno sram, da se take reči dogajajo, da nismo znali predvidet tovrstnih zapletov in ustrezno postopat, oziroma da smo stopili na ta izredno občutljiv teren kot popolni amaterji. Da je temu tako dokazuje sam pogovor sodnika in agentke, ki znova preigrava kar po telefonu neke scenarije in taktike uveljavljanja svojega prav, kot da se tega ne bi lotili ko je bil za to čas, oz. ob pripravi memoranduma in odgovora na hrvaške argumente ter same strategije slovenskega zagovora pred tribunalom.
Dragi Karl, odgovornost nosiš predvsem ti! Prevzemi jo in prepusti resor nekomu s kančkom več profesionalnosti.