Torno sul tema dell'Adriatico da governare insieme, alla luce del referendum abrogativo del 17 di aprile in Italia per fermare le trivellazioni petrolifere in questo mare. La riflessione sara' sul Caosmanagement.it di aprile.
L'ADRIATICO, POSSIAMO GOVERNARLO INSIEME?
E’ la domanda che mi pongo, e credo di non essere il solo, ogni qualvolta
chi governa questo mare e le sue coste si mette in testa di succhiarne
ulteriormente le risorse a prescindere dai danni che vi può arrecare.
Sappiamo essere, l’Adriatico, un mare pressoché’ chiuso, cui il Canale d’Otranto,
appena quarantacinque miglia di larghezza, consente un certo ricambio d’acqua
col resto del Mediterraneo. Gioco forza quindi un bacino ambientalmente fragile
che una Exxon Valdez, e mi riferisco all’incagliamento dell’ 89 e alla
fuoriuscita degli oltre 40 milioni di litri di petrolio che deturparono per
anni le coste di buona parte del Golfo dell’Alaska, condannerebbe a morte quasi
certa. Basti pensare alla differenza di dimensioni del nostro mare col
menzionato golfo. E la Exxon Valdez, ribatezzata dopo il disastro in Sea River
Mediterranean, - attenti! – gira ancora. E non è sola. Di eguali e ancor più
grandi ne troviamo pure sulle rotte adriatiche.
Seppure a doppio scafo, come impongono oggi le norme internazionali, e
quindi più sicure rispetto alle petroliere di fine secolo, anche le navi
cisterna dell’ultima generazione possono incorrere in avarie e incidenti, per
ragioni tecniche, meteorologiche o umane. Nulla c’e’ di sicuro al 100%,
soprattutto in tempi di terrorismo onnipresente e quasi onnipotente.
Ma la presenza di petroliere nell’Adriatico oramai l’abbiamo metabolizzata,
convinti o per lo meno speranzosi che chi gestisce questo traffico sappia il
fatto suo. Quanto invece non va giù a tanti che la pensano come me, è che a
questo rischio e all’impatto - non dimentichiamolo - che hanno sul bacino gli
scarichi urbani e industriali di circa
25 milioni di residenti, se ne vogliano aggiungere di nuovi… vedi i rigassificatori
di GNL in comprensori densamente popolati e in acque a basso fondale, come
quelli che la spagnola Gas Natural e l’italiana Smart Gas vogliono impiantare a
Trieste e Monfalcone, e la tedesca TGE a Capodistria, nonche’ la proroga sine
die delle trivellazioni che diverse aziende stanno operando nelle acque
territoriali italiane per estrarne dal fondo petrolio e metano. Voleva farlo lo
scorso anno anche la Croazia, concedere concessioni per una ventina di
trivelle, ma i potenziali investitori, austriaci, italiani e americani, hanno fatto
per il momento marcia indietro, per non trovarsi coinvolti in una delle dispute
frontaliere che la Croazia ha con i propri vicini, nel caso specifico con il
Montenegro. E poi era questa l’intenzione del precedente governo, di centro
sinistra. Il nuovo, questa volta di centro destra, non si e’ ancora pronunciato
in merito.
Comunque, nel mirino degli ambientalisti e, se mi e’ concesso, di ogni
cittadino con un minimo di buon senso, e’ questa volta la Legge di stabilità approvata
dalla maggioranza Renzi, per una norma che toglie ogni scadenza alle attuali
concessioni di estrazione di petrolio e gas. Autorizzazioni nuove non ve ne
saranno ma chi trivella oggi potrà farlo senza limiti di tempo.
Chi ha capito la gravità della situazione, di quanto deciso e votato dalla
maggioranza che governa l’Italia, si è messo in moto con l’unico strumento
ancora in grado di fermare questa follia: col referendum abrogativo. Si farà
fra poco più di due settimane, precisamente il 17 di aprile, all’insegna dello
slogan: “Vota SI per fermare le trivelle!”. Il Comitato promotore è costituito
in sede nazionale da inizio marzo, ora è in fase di rapida ramificazione nei
comprensori regionali e comunali.
A Trieste molte le adesioni di associazioni e singoli anche di Slovenia e
Croazia.
Più o meno gli stessi attivisti che si erano mobilitati l’anno scorso
contro le intenzioni di Zagabria di aprire al capitale petrolifero anche
l’Adriatico di propria competenza.
Che la consultazione sia del tutto e solo italiana poco importa. Sì, a
votare ci andranno solo gli aventi diritto al voto, ovvero i cittadini
italiani, ma la campagna referendaria
non potrà fermarsi al confine nazionale. Così come i rigassificatori di gas
naturale liquido nel Golfo di Trieste, anche le trivelle sparpagliate lungo la
costa italiana ed eventualmente quelle sul versante croato, potranno creare
impatti sull’ambiente di non poco conto e in fette di mare e di costa non solo
nelle sedi di impianto, ma in zone anche più vaste, nel territorio del vicino o
addirittura nel bacino intero. Per quanto consumata, ripetiamola, ‘sta frase:
l’inquinamento non conosce confini!
Ma non solo di rischio disastri si tratta nel caso delle trivellazioni. Il
petrolio è l’idrocarburo da abbandonare quanto prima e da sostituire, così come
il carbone, con le energie rinnovabili. L’unico combustibile fossile cui si può
concedere qualche decennio di utilizzo in più è il GNL in quanto largamente
meno inquinante e impattante sul clima. Investire sul petrolio, dargli
spazio e credito, se proprio non rasenta il crimine, è comunque irresponsabile.
E il referendum del 17 aprile è l’occasione per dirlo e costringere il potere a
rivedere le proprie posizioni.
Forse forse anche uno stimolo in più a ragionare sul governo comune
dell’Adriatico, a intavolare con la dirimpettaia Croazia, entrambi con le coste
adriatiche più lunghe, ma anche con i rivieraschi più corti, l’ipotesi di una
gestione colleggiale di questo mare in tutti quei settori che non si possono
imbrigliare in ottiche squisitamente nazionali: politiche portuali, corridoi di
navigazione, scarichi urbani e industriali, interventi di soccorso ambientale e
di sicurezza in mare, pesca, ricerche oceanografiche, conservazione e
valorizzazione del patrimonio naturale e culturale, non ultima, una concertata offerta turistica.
Insomma, con un minimo di buona volontà e lungimiranza, governare insieme
l’Adriatico si può. Anzi, stando le cose così come stanno, lo si deve fare.
E’ l’appello che rinnovo da anni, che ha
trovato eco anche negli inviti dell’ex commissario europeo all’ambiente Janez
Potočnik, che però nessuno dei destinatari vuole sentire ne accettare. Sia allora il referendum del 17 aprile,
l’occasione buona per accendere per lo meno un barlume di speranza.
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