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Per l'edizione di gennaio 2016 il mio contributo:
MONDO DELL'ESODO,
ATTENTO!
“La storia dell’uomo è caratterizzata da una
costante mobilità di singoli, di gruppi, talvolta d’interi popoli, da una
regione all’altra della terra, alla ricerca di migliori condizioni di vita. Se
quella economica fu la causa prima dei movimenti migratori, accanto ad essa
altre ragioni diedero impulso al fenomeno: guerre, conflitti sociali, intolleranza
religiosa. Dalla diaspora del popolo ebraico, conseguente alla conquista romana
della Palestina, fino al dramma recente dei popoli curdo, vietnamita, tamil,
eritreo: la storia del genere umano è segnata da questi dolorosi spostamenti
collettivi.”
L’ho colta, la citazione, da un libro di testo di
qualche decennio fa. Se fosse stato scritto in questi giorni, leggeremmo “ del
dramma dei popoli siriano, iracheno, afgano e nordafricani”.E fors’anche, che
mai prima la dinamica di tale flusso – guerre mondiali escluse – fu ‘si’
martellante e malgovernabile come si presenta oggi nel Mediterraneo e sulla
cosiddetta Rotta balcanica. Ripeto: guerre mondiali escluse!
Si contano oramai a centinaia di migliaia, secondo
alcune stime, addirittura due milioni, coloro che dalle realtà in guerra nel
Medio Oriente e in Africa e non solo nel mondo musulmano, hanno deciso di
emigrare e cercare riparo in Europa, unico continente fra i grandi mari, per
così dire, a portata di mano e in condizioni di pace e relativo benessere.
Dalla vendita dei beni o in altro modo hanno raccolto quanto necessario per
pagarsi e affrontare il viaggio, detto addio alla propria terra e si sono messi
in marcia convinti o, per lo meno, speranzosi, di trovare all’arrivo
un’accoglienza appropriata, un lavoro, un posto ove metter su casa, riassestare
la propria esistenza, puntellare il proprio futuro.
Ma ogni giorno che passa, svela “ la vanità di tali
speranze,”, come ebbe a scrivere Leopardi.
Una diciottenne siriana intervistata all’arrivo in
Slovenia, dopo mesi di cammino e vicissitudini di ogni tipo, ha ammesso: “Ero
partita con mio padre che ora non so dov’e’, ci siamo persi per strada, diretti
in Germania, ma se avessi saputo cosa mi aspettava, sarei rimasta a casa.
Oramai sono al punto del non ritorno, per cui vado fino in fondo!” Ed era
autunno. Un autunno ancora caldo e confortevole.
E la Germania ancora lì, con le braccia aperte, a
proclamare il benvenuto a chiunque l’avesse scelta come terra d’arrivo. Mi
auguro che la giovane l’abbia fatta e si sia ricongiunta al genitore.
Ma oggi siano in pieno inverno, un inverno freddo,
tutt’altro che accogliente, e siamo in un’Europa, Germania compresa, che le
braccia le tiene mosce, cadenti, se non conserte. Anzi. Un’Europa che pian
pianino si chiude, che si recinta, anche col filo spinato, che dice no, basta,
siamo al completo! Coloro che siete in viaggio vedete di fare dietro front, chi
non è ancora partito restituisca il biglietto e lo si faccia rimborsare.
L’Hotel Europa è colmo, non ci sono più ne camere ne posti letto in soffitta.
Se se ne trova qualcuno, è già prenotato. Alla reception ostentano ancora
relativa gentilezza e cortesia, ma nel retro già ci stanno coloro, spesso
rasati a zero e con qualche svastica tatuata sul braccio, che al sorriso
preferiscono il bastone chiodato e la catena.
Esagero apposta, ma vero è che il NO all’arrivo e
all’accoglienza di gente di altre e lontane realtà culturali e religiose e in
specie dell’Islam è in forte e rapida crescita. Gli attentati di Parigi e
altrove rivendicati dall’ISIS, le molestie di fine anno alle donne di Colonia,
per mano di rifugiati su di giri, hanno fatto la loro. Fra generalizzazione,
stereotipi, pregiudizi, isteria anche mediatica, paura e ignoranza, è il
neofascismo a farsi strada, a legittimarsi e a riproporsi addirittura al
governo. Spicca il Fronte nazionale di Marine le Pen in Francia, ma ideologie
di questo stampo son già politiche di stato nell’Unione europea dell’est dove si
dichiarano non fascisti ma patrioti e declinano, in barba ai valori e principi
cui si erano confessati, l’invito a una distribuzione solidale ed equa del
fardello migratorio. “Da noi i profughi, richiedenti d’asilo e migranti non li
vogliamo! Se li prenda la Germania tanto ha fatto per stimolarli a venire. E’
un problema suo, non europeo!” – è esplicito e accusatorio il premier ungherese
Orban, il primo a recintare e chiudere il proprio confine alle colonne di
disgraziati che provenivano dalla Croazia. Poi il flusso ha cambiato rotta e ha
investito la Slovenia. E visto che ha potuto farlo lui ed e’ rimasto impunito,
perché non gli altri? Tutto l’est ha seguito il suo esempio e si è chiamato
fuori. L’unico contributo degli ultimi arrivati in Europa, la disponibilità all’invio
di reparti di polizia a dar manforte ai colleghi europei alle frontiere non
ancora chiuse. Un obolo per salvare la faccia.
Si è tentato più volte, soprattutto su pressione
della cancelliere tedesca Markel, del presidente della Commissione europea
Juncker, e dei governi più oberati dalla crisi, vedi il nostro, quello sloveno,
di definire una strategia comune UE per far fronte all’emergenza sia nelle sue
manifestazioni più immediate e acute, sia in quelle di prospettiva, ovvero
debellare le ragioni e i focolai dell’esodo e definire, per dirla con parole
povere, i posti letto ancora disponibili nei singoli paesi membri dell’unione.
Il premier sloveno Cerar ha per altro proposto un comune e più rigoroso controllo,
registrazione compresa, dei transiti alla frontiera greco-macedone. Tanti i consensi,
ma su accordi e delibere concrete ancora nessun movimento, anche se il dialogo
soprattutto con Austria e Germania resta aperto e attivo.
Cerar ha anche spiegato il perché di questa sua
iniziativa. In terra balcanica, ove gli animi nazionalisti e militanti che venticinque
e passa anni fa generarono il sanguinoso crollo della Jugoslavia non si sono
ancora sopiti, può bastare un nonnulla per riarmarli. E le decine di migliaia
di profughi che giornalmente transitano queste realtà creando non pochi
problemi e irritazioni alle rispettive autorità e opinioni pubbliche, non sono
certamente cosa di poco conto.
Addirittura fra due membri della stessa famiglia
europea, fra Slovenia e Croazia, si sentono di tanto in tanto scricchiolii che
creano apprensione. Il tracciato della frontiera non è ancora del tutto condiviso
ed è anzi oggetto di giudizio all’apposito arbitrato dell’Aia che dalla
primavera scorsa la parte croata dichiara di non riconoscere più, e poi la
Slovenia che su questo tracciato ci mette addirittura il filo spinato, sorda ad
ogni pretesa del vicino di rimuoverlo non solo perché incivile e inutile a
fermare o dirottare il flusso migratorio, giudizio che condivido anch’io come
la maggioranza di coloro che vivono su questo confine, ma soprattutto perché,
per diversi tratti, - come sostengono a Zagabria – “su terra croata”. E non
c’e’ feeling fra i due neanche sul come gestire l’emergenza profughi.
Insomma, la cosiddetta rotta balcanica va quanto prima
sdoganata e alleggerita dal fardello migratorio se si vuole che le micce in
questa regione restino spente. – è il monito sloveno.
Ma perché “Mondo dell’esodo, attento”?
Perché, se fossi alla testa delle folle di uomini e
donne, bambini, anziani e invalidi, che con gli zaini in spalla e le valige in
mano in Siria, Iraq, Afganistan, Turchia e altrove attendono di partire per il
presunto Eldorado europeo, direi loro:
“Pensatesi un tantino ancora, prima di intraprendere
quest’odissea. Ben che vada, salvo pochi fortunati, passerete mesi sul percorso
di viaggio e poi, se non sarete rimpatriati, il che vanificherà tutti gli
sforzi e i sacrifici fatti e le spese sostenute, anni nei campi di raccolta, molti
in strada, emarginati, esclusi, calpestati nei diritti e nella dignità, invisi
e respinti dagli autoctoni, con poche opportunità di integrazione e qualche
lavoro occasionale, precario e mal pagato. Spesso in condizioni di schiavitù,
tentati dalla malavita, ma nel mirino della polizia anche solo per il colore
della pelle e il modo di vestire.
Vero, così non dovrebbe essere nell’Europa del terzo
millennio, nella Grande Europa multiculturale, ospitale ed esempio di civiltà e
progresso, ma così essa si prospetta. Anche da noi, in Slovenia, ove un tantino
d’illuminismo nel governo c’e’ ancora, se gli condono la recinzione, ove a
guidarlo è il centro sinistra che si dichiara pronto ad accogliere e dare
alloggio e assistenza anche a una decina di migliaia di rifugiati, senza
distinzione di colore, lingua o religione, qualora decidessero di rimanere. Ma
crescono le quotazioni della destra nazionalista e xenofoba capitanata dal partito
democratico di Janez Janša, cui anche Orban sembra un tantino troppo tenero.
Non solo vuole l’esercito alla frontiera con la Croazia e il filo spinato
sull’intero suo percorso (650 km), ma si prepara a costituire – sarà il punto
primo del suo programma elettorale – una Guardia nazionale di venticinquemila
patrioti volontari per meglio difendere la purezza del costume e della cultura,
per non dire sangue, sloveni. I sondaggi lo danno vincente, grazie a Dio, non ancora
necessariamente premier.
E lo ripeto, sempre ben che vada, perché anche un
qualcosa di peggio per tutti, non solo per i nuovi arrivati, non è da
escludersi. E non mi riferisco solo al bollente pentolone balcanico. Preoccupanti
crepe si diramano oramai su tutte le mura della Comune casa europea e il 27
gennaio, Giorno della Memoria, appare sempre più solo fine a se stesso o,
peggio ancora, una semplice annotazione sul calendario.